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  • zhangminrui0102

Palazzo Fortuny


Il palazzo fu fondato alla fine del XV secolo dai nobili Pesaro, che vi abitarono fino al XVIII secolo, prima di trasferirsi a Ca' Pesaro. Il palazzo divenne per un certo tempo sede dell'Accademia Filarmonica degli Orfei, da cui il nome Palazzo Pesaro degli Orfei, con cui fu in seguito conosciuto.


Mariano Fortuny, che lo acquistò all'inizio del XX secolo per farne il proprio atelier, fu un uomo eclettico che si occupò di fotografiascenografia e scenotecnica, creazioni tessili, pittura.

Dopo la sua morte, la moglie Henriette donò il palazzo, che ancora ben conservava i tessuti e le collezioni di Mariano, al Comune di Venezia (1956) che ne fece il luogo dedicato ad occuparsi delle discipline di comunicazione visiva, particolarmente di sperimentazioni e innovazioni, in assonanza con lo spirito e la cultura del vecchio proprietario.



LA BIBLIOTECA PRIVATA DI MARIANO FORTUNY


Vero cuore pulsante del palazzo, snodo centrale della fabbrica-laboratorio, la biblioteca privata di Mariano Fortuny è un luogo fantastico e magico, un vero e proprio cabinet d’amateur, una wunderkammer colma di cose preziose, oggetti d’uso, curiosità, strumenti e volumi rari.


La sala, illuminata da quattro meravigliosi finestroni gotici, si caratterizza per la presenza lungo tutte le pareti di librerie a telai scorrevoli realizzati con stoffe Fortuny, scaffali, vetrine e armadi disegnati e adattati dallo stesso Mariano in cui sono contenuti i suoi tesori di bibliofilo: antichi trattati di architettura e prospettiva, l’intera Encyclopédie di Diderot e d’Alambert, raccolte di incisioni, riviste, preziosi volumi di storia, arte, arti applicate, scienze e tecnica.


Stupefacente è il contenuto degli armadi a ribalta: più di centocinquanta album, assemblati, ordinati e rilegati da Mariano e Henriette, e rivestiti con i cotoni stampati Fortuny. Uno straordinario repertorio di immagini, ritagli, fotografie, schizzi e appunti, raccolti e classificati in modo meticoloso e ordinato, a formare un immenso prontuario di motivi decorativi tratti da dipinti, miniature, decori e fregi architettonici, mosaici, sculture, stoffe, arazzi, costumi, armi e ceramiche di ogni paese e ogni epoca. Queste molteplici suggestioni, per Mariano fonti d’ispirazione per la creazione dei leggendari tessuti stampati, permettono oggi una chiave di lettura del suo background culturale ed estetico.



IL TEATRO E L’ILLUMINOTECNICA


La riforma teatrale di Fortuny nasce da una riflessione sulla luce naturale e da una serie di esperimenti avviati nel sottotetto di Palazzo Pesaro degli Orfei negli anni Novanta dell’Ottocento e perfezionati a Parigi agli inizi del Novecento. Alla base della poetica teatrale di Mariano vi è l’intento di abolire i cosiddetti “cieli”, ovvero i fondali dipinti utilizzati nella scenografia tradizionale per l’effetto en plein air, sostituendoli con un sistema di proiezioni mobili volte a creare sulla scena suggestive e naturalistiche atmosfere luminose. Fortuny progetta il “Sistema Fortuny”, un dispositivo composto da un elemento scenotecnico – una calotta di ferro e stoffa che ingloba la scena fungendo da enorme riflettore, detta Cupola Fortuny – e da un metodo d’illuminazione indiretto realizzato con lampade ad arco e sofisticati dispositivi illuminotecnici in raso di seta colorato e specchi.


L’apparato illuminotecnico era controllabile a distanza e l’illuminazione regolabile nell’intensità. Il modello per il Teatro di Bayreuth realizzato nel 1903 e qui esposto esemplifica la complessa riforma fortunyana, adottata nel corso della prima metà del Novecento dai maggiori teatri d’Europa.


Le soluzioni illuminotecniche utilizzate in ambito teatrale trovarono una fortunata declinazione anche nel campo del design d’interni con la produzione in serie delle “Lampade a diffusore Fortuny”, lampade a luce indiretta – a soffitto, a piantana o da tavolo – commercializzate dalla Società Leonardo da Vinci di Milano a partire dagli anni Venti del Novecento e di cui si possono qui ammirare i prototipi.


EVA JOSPIN Selva


Eva Jospin (Parigi, 1975), conclusi gli studi accademici a Parigi nel 2002, è stata pensionnaire all’Académie de France presso Villa Medici a Roma nel 2016-2017. Da sempre la sua ricerca trae ispirazione dalla natura in tutte le sue articolazioni semantiche e visive, vale a dire colta tanto nel suo stato originario quanto nelle molteplici interpretazioni iconografiche e iconologiche che ne sono state offerte nel corso del tempo.


Attraverso l’uso di materiali poveri – cartone, elementi e fibre vegetali, parti metalliche, tessuto – l’artista dà vita a composizioni plastiche anche di grande volume e dal forte impatto scenografico che evocano o ricreano a loro modo il mondo che è al centro dei suoi interessi: paesaggi, alberi, piante, rami, foglie, formazioni geologiche, brani di vegetazione, strutture architettoniche.


Esse hanno un tono fiabesco, a tratti misterioso, quasi magico e inducono a riflettere su vari temi: la creatività e i processi operativi e intellettuali attraverso i quali essa si esplicita oggi come in passato, la percezione (i lavori di Eva Jospin modificano sensibilmente quella del luogo che li ospita, sia sul piano intellettuale che fisico), questioni ecologiche e ambientali.



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